2 maggio 2016
Quindicesima stazione
Il treno parte.
Una donna sorridente si porta un cioccolatino alla bocca. E' un cartellone pubblicitario. I suoi occhi mi seguono fino a che non esce dal finestrino.
Altri cartelloni. Telefoni, medicinali. Poi scarpe. Di nuovo telefoni.
Guardo ancora.
Aspetto di incrociare per un'altra volta quello sguardo che si interessa a me.
Ma non succede più.
Il treno è ormai fuori dalla stazione.
Solo quadrilateri di campi, mutevoli e sghembi per la velocità.
30 giugno 2014
31 dicembre 2011
24 dicembre 2011
14 gennaio 2011
8 dicembre 2010
Replica
L’unghia irregolare del mio pollice
che fu quella di mio padre
mi indica la via della vecchiezza
come questi occhi molli
che dicono d’essere i tramagli
del più grande uccellatore di misteri.
Ecco che si compone di luce
un’altra variazione sul tema,
un fatale passatempo.
Rimando lo specchio
a ricomporre senza danni
il consueto fondale in mosaico
sul quale rivi di vapore
esitando si incontrano
e si estinguono.
Scomparendo tra i confini
come tutti
in un momento di distrazione.
mi indica la via della vecchiezza
come questi occhi molli
che dicono d’essere i tramagli
del più grande uccellatore di misteri.
Ecco che si compone di luce
un’altra variazione sul tema,
un fatale passatempo.
Rimando lo specchio
a ricomporre senza danni
il consueto fondale in mosaico
sul quale rivi di vapore
esitando si incontrano
e si estinguono.
Scomparendo tra i confini
come tutti
in un momento di distrazione.
2 ottobre 2010
Gianna
Non parlammo mai
di un giro di piazza,
fatica e tempi di periplo.
Sedemmo al muretto del verde
quando la piccola radio
si mise a frinire
“una verde milonga”
e ci denudò
per come eravamo
uguali.
Tu ferma e indifferente
gli occhi opachi su una lava di auto.
Fuori è sempre terra straniera.
Cademmo lentamente
in una buca di tempo,
un’imboscata dell’arte,
tu per prima ed io con te
trascinato a braccetto
dalla tua mano sana.
14 settembre 2010
Per colmo di consolazione
Data l’incomprensibilità di ogni cosa e su tutte da dove si sbuchi in questa vita, può essere bene che io sia già morto e viva al momento una vita surreale, per colmo di consolazione, posto che quella di me da vivo fosse la vita percosiddire reale.
Supposizione, quest’ultima, tanto opinabile quanto inutile, cosiccome peraltro il conoscere se l’ordito delle esperienze condivise con altri viandanti in questa vita surreale sia frutto di un intreccio reale di vite surreali, o parte reali e parte surreali, o infine e piuttosto un prodotto di una personale propensione a tessere trame immaginarie, fiorita anch'essa al sole della consolazione.
Questo è un treno silenzioso, incrocia scambi con brevi sussulti e grooves di carrelli in sordina. Si lascia alle spalle tutte le nostre irregistrabili morti, ravvia i vecchi binari sui colmi delle colline. Fluisce intorno lo stesso paesaggio immutato.
13 giugno 2010
Domenica
Gocce grosse e calde
roba estiva
compiono solitarie sull’asfalto
un sacrificio inosservato.
A qualche sventurata
tocca di rinviare
il momento santissimo
del ritorno al principio:
sopravvivendo cade
sulla materia di me,
che ronzo di catena
e faccende d’organi
pedalando sulla camionale
disertata, enorme incensiere
che spande sudori
di catrami e di gomme.
Sole di questa estate,
frutto tardivo,
dal mallo duro
sospensione d’oceano e ferro,
guardami e dimmi
se anche altrove consola
lo stesso immane miraggio
circolare e smarrisce.
2 aprile 2010
Il tempo
La dama passa e
prende il foglio del tuo volto
lo accartoccia
come un conto sbagliato
un contratto da rifare
come un bozzetto venuto male.
Noi tutti in fila ad ammirarla
mentre incede ispezionando il volgo
lei ci spiegazza il viso
con le sue mani ispessite,
passa e si fa guardare ancora
per i suoi pendagli
tintinnanti.
Da bambina
con la vestina trasparente
già tirava segni di gesso
sulle nostre facce
di pietra bianca.
Di quando aveva vent’anni
ci rimase un odore
d’inchiostro
di scansie vegetali,
il profumo dell’antimateria
in direzione del senso,
che ora giace tra le cose
che sono qui irraggiungibili.
Abbiamo atteso allineati
che passasse.
E così è stato.
2 febbraio 2010
Punto di accumulazione
Sei per me un mandala
di ricordi e sensazioni,
un fondiglio di tempo
raccolto
nelle tue palme dissetanti,
fatte d'elio e d'osmio.
20 novembre 2009
Toni di grigio
Di tutta Vancouver mi rimane un piccione che chiudeva gli occhi sotto una pioggia scrosciante e si preparava a morire.
16 ottobre 2009
Stanza d'albergo
Tienimi la fronte
memoria
con la tua mano fredda
ché ho conati di pianto.
Un’aureola compongo stanotte
d’affanni
oltre una trasparenza di me
sulla tua vestaglia a quadri:
l’odore dei tuoi pantaloni
avana
le tue bianche dita coniche
cariche di frutta estiva.
Serena forte solitudine.
Il mondo continua
a complicarsi
dietro ai doppi vetri.
Lascia che accosti le tende.
Nessuno ha mai capito
il nostro chimico protocollo.
Nessuno ha mai scoperto
la nostra muta fonte notturna.
Vedi mio poeta?
È scritto qui,
in questa carta da lettere.
È tutto scritto qui:
il tuo, il mio silenzio,
il nostro patto indiscusso,
tutte le nostre trasformazioni,
epifanie della Nostalgia.
E finalmente,
un po’ di seria,
giusta,
solitudine.
18 agosto 2009
15 agosto 2009
Un doloroso dono
In un comprensorio di caseggiati bassi che fungono da hotel, una sera uniformemente buia, incontro uno straniero con i baffi castano chiari come i capelli e gli occhi. È un tipo piuttosto anonimo e potrà essere tedesco o polacco. Parliamo un po’ in inglese. Sembra condividiamo analoghe esperienze lavorative. Scopro poi che è il marito di L., che incontro separatamente di lì poco e che mi confida con un sorriso fragile che sì, ha finalmente trovato un secondo marito.
Faccio qualche passo per avviarmi verso non so dove (forse il mio alloggio) e, nel silenzio serale, vedo una coppia che cammina di fretta, provenendo da sinistra. In un certo qual modo andiamo nella stessa direzione, ma procediamo per linee sghembe: i nostri percorsi sono destinati a incrociarsi. Riconosco lei, G., e quindi - era il suo compagno - lui, T., stranamente senza la barba. Il suo volto è come denudato. Quando siamo più vicini, noto che parlano tra loro con complicità ed ho l’impressione che ridano di me. Affrettano il passo e si curano di non guardarmi. E così mi precedono, tagliando verso destra. Cammino ancora per poco finché mi giro e li fermo, all’apice di quella “X” che abbiamo disegnato insieme, chiamando T. ad alta voce; poi li riprendo bonariamente perché volevano eludermi. A quel punto i due mi vengono incontro sorridendo e rispondendo con ironia alle mie battute.
G. è morta qualche anno fa, penso. Di T. non so più nulla da allora. L. è sparita da tempo.
Mi guardo intorno desolato. Adesso questo luogo, dove in solitudine incontro persone passate e tanto tristemente evocativo, mi spaventa.
E così l’aereo del sogno, sbucando da nubi basse, atterra sulla sua pista e si dirige lento verso il terminal della vita vissuta. È in questo breve tragitto di raccordo che tutto, come talvolta accade, si spiega. È qui che io ricordo che l’unione di G. e T. fu per entrambi un sofferto approdo nell’odissea delle disillusioni, iniziata col fallimento del loro primo matrimonio. Proprio come per L. che ha vagato per anni ed oggi sorprendo legata ad un improbabile lido straniero così lontano dai suoi modelli.
Ma c’è molto di più: comprendo che l’angoscia che mi ha suscitato quel teatro immaginario che ho creduto paura di scena, da attore nella sua parte, non è che un panico vero che denuda tutta la mia reale viltà. E per questa rivelazione, regalo inopinato del mio inconscio, subentra ora una sofferenza concreta e critica, ben più dura da sostenere. Entro nel “finger” un poco più consapevole della mia mediocrità.
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